Serafino Murri nel suo puntuale articolo “IL DOPPIAGGIO: L’ARTE DELL’INVISIBILE” afferma: “Il doppiaggio è un’arte paradossale: una delicata alchimia il cui segreto consiste nella sua invisibilità”. Io, più modestamente, cercherò di dimostrare con l’articolo “IL DOPPIAGGIO: L’ARTE NEGLETTA” che l’invisibilità era una condizione necessaria per l’esistenza stessa del doppiaggio; condizione dettata da un evento imprevedibile quando il doppiaggio stesso era nato agli inizi del 1930.
Per ragioni riconducibili alla situazione economica, politica e sociale dell’Italia della prima metà degli anni trenta, il doppiaggio esplode nel Bel Paese fin da subito diventando in breve il migliore del mondo. Gli italiani, che non conoscono le lingue e che rifiutano di andare al cinema per leggersi le didascalie, apprezzano il doppiaggio e presto si affezionano alle voci belle, dai timbri e tonalità da sogno, che li portano anche sonoramente in una dimensione fantastica. Nessuno conosce i nomi dei proprietari di quelle voci né tantomeno si conoscono i loro volti ma, già dal 1937, alcune riviste si attardano a parlare dei doppiatori che permettono alla cinematografia straniera di continuare a prosperare come accadeva prima dell’avvento del sonoro nel cinema che, è bene ricordarlo, inizia a parlare soltanto nel 1927 con “Il cantante di jazz”.
Avviene però un fatto significativo alla fine del 1938. Il regista francese Jean Renoir prende una posizione netta contro il doppiaggio. La posizione intransigente di Renoir è fatta propria dalla rivista “Cinema” che si schiera contro la pratica del doppiaggio affidando al critico Michelangelo Antonioni, non ancora regista, il compito di affossare la pratica che da adesso diventerà innominabile. Antonioni e gli intellettuali dell’epoca hanno anche un altro motivo per scagliarsi con virulenza contro il doppiaggio. Nel 1939 alcuni film italiani, tra cui “Il Fornaretto di Venezia”, ricorrono anch’essi alle cure del doppiaggio e non in modo sporadico. Per l’intellighenzia dell’epoca questo è inaccettabile!
Il doppiaggio entra in un cono d’ombra che durerà fino alla seconda metà degli anni ’70 quando, sotto la spinta dei cartoni animati giapponesi e delle telenovele brasiliane, l’Italia sarà inondata da migliaia di ore di filmati prevalentemente destinati alla televisione. Gli italiani incominciano a riconoscere le voci dei protagonisti di queste serie interminabili che giornalmente e prepotentemente entrano nelle loro case. Il fatto più incredibile è che questi film televisivi portano nei titoli di coda i nomi dei doppiatori. Non era mai successo prima se non in pochi casi e per motivi ben precisi e circoscritti. Nel 1945 l’Italia era risorta dal punto di vista cinematografico con il film “Roma città aperta”. Si poteva dire, scrivere… si poteva portare a conoscenza dell’italiano scampato a una guerra disastrosa che il film della rinascita era un film totalmente doppiato come un qualsiasi western americano? Meglio lasciar perdere, sorvolare, non scoprire che gli attori italiani non recitassero con la propria voce.
Era impensabile che un Antonioni potesse scoprire il trucco scrivendo che il film vessillo del Neorealismo, “Roma città aperta”, era stato girato muto. Lo stesso Antonioni avrebbe dovuto dire agli italiani che per il suo film d’esordio “Cronaca di un amore” si era servito anche lui del doppiaggio dopo averlo criticato tanto? Non era possibile né pensabile! Ed ecco che il doppiaggio si è ritrovato confinato nel non dicibile. Ed ecco il teorema che ho enunciato nel primo saggio dedicato alla Storia del Doppiaggio, “Le Voci del Tempo Perduto”, che ho pubblicato nel 2004 per rendere omaggio ai doppiatori del passato che hanno consumato la loro esperienza artistica nelle sale buie e umide del doppiaggio nel più completo anonimato: “Quando gli attori italiani iniziano a farsi doppiare, sul mondo delle voci cala un velo pesante”.
Di doppiaggio non si dovrà più parlare, sul mondo delle voci calerà il sipario; quel sipario che il produttore del film in “Cantando sotto la pioggia” provvederà ad aprire per smascherare la protagonista del suo ultimo film. Ha una voce gracchiante e una dizione improponibile, l’antipatica attrice, che riusciva a essere credibile quando il cinema era muto.
Adesso il produttore decide di farla doppiare ma pretende che non si sappia… fino a quando è costretto dalla stessa arrogante e presuntuosa attrice a svelare la semplice realtà. Quella realtà che per decenni è stata celata agli italiani che hanno convissuto… che si sono emozionati al cinema grazie all’arte negletta del doppiaggio.
Di Gerardo Di Cola